D’Ubaldo: “Prima del partito, i democratici cristiani”. Addio a Bartolo Ciccardini

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Affaritaliani – E’ morto nella notte tra l’11 e il 12, all’ospedale Sant’Eugenio, l’ex parlamentare Dc Bartolo Ciccardini. Ottantasei anni, politico e giornalista, è stato parlamentare dal 1968 all’87 e ha ricoperto la carica di sottosegretario di Stato in diversi governi dal 1979 al 1986. Il ricordo di Lucio D’Ubaldo.

Ciccardini riusciva a sorprendere. Aveva il gusto della politica che si nutre di idee e che muove le intelligenze, al pari delle passioni. Il suo pensiero andava costantemente alla radice di quella che considerava la nostra imprescindibile eredità nazionale: l’Italia guelfa, sebbene non contrapposta necessariamente all’Italia ghibellina.
Dossetti gli aveva trasferito la convinzione che in assenza di una riforma della Chiesa non era immaginabile, in parallelo, una riforma della società e dello Stato. Per questo il percorso da lui seguito non ha mai conosciuto le prescrizioni burocratiche di partito, mirando semmai a cogliere i nessi più nascosti tra la lezione pastorale della Chiesa, il dinamismo delle libertà civili, l’espressione della solidarietà di popolo, l’azione conseguente, ove non corrosa dalla latitanza, del partito d’ispirazione cristiana. Al riparo di qualsiasi opportunismo, si è fatto carico di una Democrazia cristiana via via risorgente dalle acque della vita e della storia, nonostante errori o manchevolezze di protagonisti piccoli e grandi. Prima di credere al partito, sentiva piuttosto di appartenere al movimento – di per sé incorruttibile – dei democratici cristiani.
Era un uomo della “terza generazione” democratica e popolare – dopo quella di Sturzo e De Gasperi – e così fu chiamata la prima rivista, agli inizi degli anni ’50, che animò con ingegno e fantasia. Era capace di sorprendere perché ammirava la capacità operativa di Fanfani, ma seppe criticarlo a fondo e a più riprese; riconosceva il magnetismo di Moro, ma non esitò a marcare il suo distinguo dalle complesse liturgie del leader pugliese; veniva dalle Acli e dunque apparteneva alla sinistra sociale del partito, ma prese a condividere le battaglie della “destra democristiana” – da Baget Bozzo a Mariotto Segni, passando per gli hiltoniani di Umberto Agnelli – per una democrazia a forte investitura del leader. Il presidenzialismo era in effetti un’eresia, così percepita dal gruppo dirigente scudo-crociato, che egli coltivava senza eccessive remore o titubanze, bensì con stile persino guascone.
L’invenzione, sotto la Segreteria Zaccagnini, delle “Feste dell’Amicizia” avrebbe rivelato il profilo più autentico della sua vocazione politica: attenersi a un’unico fondamentale precetto, essere popolo in mezzo al popolo, così da legare principi e valori a una verifica autentica della forza persuasiva della propria iniziativa politica. Per qualche verso incarnava l’originale figura del “giacobino senza furore”, intransigente e insieme tollerante. Quindi non poteva non essere referendario, ovvero assertore della possibile salvezza, a fronte di un pentapartito morente, del popolarismo cristiano grazie a nuove regole elettorali e nuove forme di democrazia.
Ciccardini scelse di andare oltre. Ma quando pure sembrava che rinnegasse la storia democristiana, in realtà ne cercava l’anima per così dire immortale nella piena condivisione dell’istanza – morale prima che politica – dell’antiberlusconismo. In quel contesto, le esperienze del Partito popolare e della Margherita non lo trovarono in prima fila, evidentemente perché legato alla preoccupazione di praticare un gioco largo e non segnato dall’angustia dell’identitarismo. È ciò che spiega, pertanto, la motivazione con la quale prese parte, negli anni più recenti, alla nuova avventura del Partito democratico.
In un certo senso, come i valori dell’antica Atene andarono nel tempo a germogliare lontano, sulle coste italiche della Magna Grecia, così il retaggio popolare e cristiano della Dc poteva e doveva riprodursi, stante la fede che Ciccardini nutriva a riguardo della bontà dell’evoluzione storica, nel nuovo soggetto politico riformista. A ben vedere, il Partito democratico era metaforicamente la Magna Grecia di una vera e propria civilizzazione, antica ma non spenta, di origine democristiana. Ecco la sua speranza, molto spesso tradotta in atti preziosi di generosità ed entusiasmo.
Ha lasciato questa vita, all’improvviso, mentre assaporava nella clamorosa vittoria di Renzi e nella dirompente novità di Papa Francesco il gusto per la rinascita della sua Italia neo-guelfa. Era tornato giovane, aveva ritrovato il bandolo della matassa. Di sicuro, se ancora avesse avuto tempo da spendere nelle battaglie di questo mondo, avrebbe ragionato a voce alta sulla virtù insita nella dialettica tra cristianesimo e democrazia: nella realtà una dialettica aperta. A questa verità è rimasto sempre fedele. In fondo,  Ciccardini ha voluto e ha saputo, nel corso di una lunga e ricca stagione d’impegno politico, assumere sulle sue spalle il fardello dell’essere cristiano e, al tempo stesso, dell’essere democristiano. E lo ha fatto bene.

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