ENERGIA/Cenicola: Governo amico dei petrolieri

cenicolaIl Governo Renzi ha sorpreso ancora per le sue scelte strategiche sul fronte energetico.

La carente sensibilità green di queste esecutivo si dimostra nell’ennesima “strizzata d’occhio” al mondo delle fossili. Prova ne è la soppressione del divieto di utilizzo del cosiddetto air gun finalizzato alla ricerca offshore di petrolio e gas, aspetto contenuto nel ddl Ecoreati, ora in discussione al Senato. Petrolieri e Confindustria brindano a questo immotivabile scempio voluto dal duo Renzi-Galletti, che va a dare una connotazione negativa ad una legge tanto bramata per le sorti del paese, quella a sanzione dei reati ambientali.

Ma cos’è questo fantomatico air gun?

L’air gun è la tecnologia che, per la ricerca di idrocarburi in mare, utilizza spari esplosivi ad aria compressa per creare onde di rifrazione che mappano la composizione geologica dei fondali marini.

Il problema è semplice: la distruttività di questa tecnica, ormai data per assodata dalla scienza, che comporta inaccettabili rischi all’ecosistema marino e non solo.

Sono acclarati fenomeni come stress comportamentale e psicologico nei cetacei, morte nei pesci e rilevanti danni all’attività di pesca, perché si va anche ad inficiare la regolarità del processo di riproduzione.

Vi sono attualmente circa 30 richieste di prospezioni, 19 già in essere, 14 ancora ferme al semaforo burocratico. Con i 3 emendamenti al ddl Ecoreati, presentati ad alcuni membri della Camera, il Governo ha dato li via libera alla tutela di questi interessi.

Questo genere di solerzia nello sviluppo delle energie rinnovabili non si è mai vista.

Almeno, si spera, sinora.

L’esecutivo Renzi conferma quindi il suo tendenziale “occhio di riguardo” per le compagnie petrolifere, perché a fronte di risorse petrolifere piuttosto esigue, anche offshore, si continua a legiferare a sostegno delle speculazioni perforatrici.

D’altronde, nel nostro paese, estrarre idrocarburi è già piuttosto vantaggioso, con royalties tra le più basse al mondo e, per ironia della sorte per uno degli aspetti più cari a questo governo, creando pochissimi posti di lavoro.

Chi ci perde?

Facile a dirsi. L’ambiente, il clima e i settori connessi al mare, non ultimi pesca e turismo.

Insomma, si sacrifica il valore aggiunto per eccellenza dell’Italia, ovvero la biodiversità e le risorse naturali.

Che fine hanno fatto le rinnovabili nella complessiva pianificazione energetica di questo Governo?

E chi lo sa.

Anche perché il mondo sembra iniziare ad andare dalla parte opposta. È sempre più evidente come le rinnovabili diventeranno un tema centrale di sviluppo nello scacchiere energetico mondiale.

Ci sono ancora diversi aspetti da superare, ma l’evoluzione dai meccanismi di produzione energetica del secolo scorso è sotto gli occhi di tutti.

Siamo sulla strada giusta, quella che porterà l’energia pulita ad essere via via meno cara rispetto a quella prodotta dalle centrali termoelettriche. E ricordiamoci che questo è un passaggio obbligato per evitare un’imminente catastrofe climatica.

Certamente, la strada è lunga e tortuosa. Oggigiorno, gli investimenti rivolti agli idrocarburi (carbone, petrolio e gas) sono ancora più che doppi rispetto a quelli nella green economy.

Ma il cambio di marcia dei secondi è ormai partito, soprattutto per la volontà di Paesi fortemente energivori a cambiare rotta (Cina e USA su tutti).

Qui da noi, si parla un po’ troppo spesso di politiche troppo generose di incentivazioni statali a supporto delle rinnovabili. E’ vero. Ma l’alternativa era meno appetibile.

Una crescita meno espansiva e più imbrigliata avrebbe di certo pesato meno sulle bollette, ma avrebbe fortemente ridimensionato lo sviluppo di queste tecnologie, sia in termini di ricerca e sviluppo, sia nella rincorsa all’abbattimento dei prezzi.

Certi Paesi, soprattutto Germania e Italia, hanno fatto un “lavoro sporco” di cui poi tutti hanno giovato, portando ad un crollo diffuso dei prezzi che ha introdotto una diffusione su larga scala di queste tecnologie e un ‘scacco economico’ alle produzioni convenzionali da termoelettrico.

Non bisogna tirare il freno ora, ma accompagnare con più lucidità le prossime fasi di sviluppo del mercato energetico “verde”.

Le nuove sfide oggi in ballo consistono nell’amministrare questi sviluppi trasformando la rete elettrica e potenziando l’efficientamento, soprattutto del patrimonio immobiliare nazionale.

Per non sperperare un enorme sforzo economico in una bolla speculativa fine a sé stessa.

Anche perché altri Stati non stanno a guardare, e in varie agende governative la prospettiva di convertire tutta la produzione elettrica su tecnologie rinnovabili è posta in linea temporale per la metà di questo secolo.

Sull’energia abbiamo aperto una strada importante, alimentata dal calo dei prezzi (che per il fotovoltaico condurrà ad un sostanziale ulteriore dimezzamento per il 2025, secondo recenti stime) e dalle prime formule di trasformazione delle regole del mercato elettrico, perché tenesse conto anche dell’apporto di solare e eolico.

Un’utopia, che tanto profetica non è, che porti ad una diffusione a larga scala delle tecnologie verdi sta via via prendendo corpo.

Le energie rinnovabili sono ecologicamente sostenibili, più sicure e, a breve, anche più economiche.

Speriamo lo capiscano anche i nostri rappresentanti al Governo.

Non bisogna decelerare, non bisogna agevolare i giganti delle fonti fossili.

Servono scelte politiche consapevoli.

Un suggerimento buono è intavolare il dibattito su una seria carbon tax, dare vigore agli investimenti sulle rinnovabili e soprattutto sull’efficienza energetica del preesistente.

Siamo stati coautori di una rivoluzione. Non si può più tornare indietro.

ANGELO CENICOLA (Responsabile Dipartimento Energia)

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