Noi e l’Islam, riflessioni dopo Charlie. Il contributo di Antonio Russo

France Newspaper Attack

 

FUTURO EUROPA – A qualche giorno dai terribili fatti di Parigi è possibile, superati i momenti più emotivi, fare alcune riflessioni: a cominciare dal fatto che come democrazie, non abbiamo una linea chiara su moltissime questioni e questa sembra essere l’occasione per riflettervi onestamente senza dover difendere i soliti interessi legati a posizioni elettorali.

Riguardo agli immigrati islamici, di prima, seconda o terza generazione (e pertanto anche cittadini islamici) ad esempio: vogliamo che si integrino completamente e pertanto assimilino anche i nostri valori (la nostra visione, ad esempio, in merito all’uguaglianza tra uomo e donna) o vogliamo che preservino le proprie tradizioni, nel rispetto della nostra legge, ma magari agendo per modificarle? In merito all’immigrazione, la consideriamo una risorsa e pertanto da accettare in funzione dei vantaggi che ne traiamo o la consideriamo un valore, pertanto da accettare in assoluto; da sostenere senza porsi limiti?

Sono domande alle quali nessun governo europeo oggi sembra, nei fatti, avere davvero una risposta. Ma probabilmente le maggiori riflessioni riguardano una profonda autocritica rispetto ad una politica estera nei confronti del medio oriente a dir poco miope, ed in certi casi suicida. Abbiamo peccato usando categorie occidentali per analizzare fenomeni che occidentali non sono; abbiamo avuto la presunzione di intervenire in merito alle decisioni ed alla legittimità di governi stranieri e il fenomeno dell’ISIS ed il conseguente terrorismo, anche sui nostri territori, è una diretta conseguenza del nostro agire nel recente passato.

Mi riferisco in particolare, ma non soltanto, alle presunte “primavere arabe” : rivoluzioni e rivolte che abbiamo sostenuto (come Occidente) e hanno spazzato via (o tentato di farlo) governi sicuramente autoritari, ma che di fatto erano in grado di governare società tribali (penso alla Libia di Gheddafi) o di offrire un interlocutore almeno lontanamente laico rispetto alla masnada di fanatici che ne sono l’alternativa (e mi riferisco al tentativo, fortunatamente “per noi” fallito, di far cadere Assad in Siria).

Abbiamo incoraggiato una anarchia armata, sgretolato società e l’Islam, anche radicale, è diventato egemone essendo l’unico altro attore rimasto in piedi tra le rovine che abbiamo concorso a creare.

Continuiamo, mostrando una totale ignoranza dei fatti, ad avere atteggiamenti al limite della pazzia verso quegli attori politici che, piaccia o non piaccia, rappresentano non dico un Islam non radicale, ma almeno un Islam con un referente, un Islam non anarchico, nei confronti del quale potremmo avere un dialogo. Mi riferisco all’intero mondo sciita che continuiamo ad ostacolare fingendo di ignorare che nella quasi totalità dei casi l’alternativa all’Islam politico sciita non è un Islam laico e democratico come sogniamo nelle nostre aule universitarie o nelle chiacchierate tra giornalisti, ma un Islam acefalo, incontrollabile, pericoloso.

L’esempio assoluto in questo caso è l’atteggiamento che la Francia (e l’Italia e l’Occidente in genere) ha avuto verso Assad: nel tentativo di rovesciarlo, trincerandosi dietro la sua presunta non legittimità come statista, abbiamo alimentato una opposizione armata composta in maniera egemone da un Islam fanatico e terroristico. Una opposizione fanatica che tra l’altro è composta anche da islamici occidentali che vedono nella Siria non solo la terra dove combattere una loro guerra santa, ma soprattutto il luogo dove prepararsi quando in futuro la guerra santa potrà avvenire qui, in Europa. Sì, qui in Europa, visto che in Siria, secondo le intelligence occidentali si trovano giovani con cittadinanza francese, inglese, tedesca ed italiana ovviamente creando il cosiddetto “Jihadismo di ritorno”

Pertanto sì, possiamo piangere i morti parigini, ma oltre a mostrare volti contriti le nostre classi dirigenti dovrebbero aver l’onestà di chiedersi quanta responsabilità abbiamo nella creazione di questa nuova ondata di terrorismo islamico e, soprattutto, elaborare nuove strategie a monte, a livello di relazioni internazionali, per impedire che il fenomeno si accresca ulteriormente e divenga incontrollabile e mortale, magari scegliendo nel mondo islamico nuovi e diversi alleati rispetto a quelli scelti dall’Occidente fino ad ora (con in testa paesi come Arabia Saudita e Pakistan il cui rapporto con l’estremismo islamico è quantomeno sospetto) e provando a favorire paesi fino ad ora emarginati (come la Siria o l’Iran).

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