Sottosegretario D’Onghia: a scuola di Economia, Green

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FUTURO EUROPA – In tervista a Angela D’Onghia di Francesco Mancini – E’ la Green Economy la chiave per uscire dalla crisi: secondo il Rapporto Green Italy 2013, pubblicato lo scorso novembre da Unioncamere e Symbola, attraverso l’introduzione della ‘sostenibilità’ nei processi produttivi e gestionali la modalità ‘verde’ è ormai la prospettiva di sviluppo dell’economia del futuro ed è qui che si creerà il maggior numero di posti di lavoro. Ma il lavoro ci sarà per figure opportunamente formate, come formato dovrà essere il consumatore- cliente-cittadino per recepire e moltiplicare gli effetti virtuosi di una economia basata sul ‘fattore green’. Fondamentale in questo passaggio sarà il ruolo della Scuola. Ne abbiamo parlato con la Senatrice dei Popolari per l’Italia Angela D’Onghia, Sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Sottosegretario, Lei ha ricevuto le deleghe ‘di confine’ tra il sistema formativo ed il mondo del lavoro: un ruolo strategico nel prevenire la disoccupazione giovanile, che da imprenditrice certamente affronta con una visione esperta del futuro dell’economia. Può spiegarci lo stato dell’arte dell’ ‘alternanza scuola-lavoro’, uno strumento messo in atto dal Ministero dell’Istruzione per mettere a disposizione degli studenti periodi di apprendimento in situazione lavorativa e quindi avvicinare fin dalla scuola i giovani al loro futuro?

Attualmente c’è poca sintonia tra i due mondi della scuola e del lavoro. In questi due mesi abbiamo lavorato per capire tutte le convergenze che vanno attuate per far funzionare a pieno regime l’alternanza scuola lavoro.Il nostro impegno è di avvicinare queste due realtà. Un obiettivo non facile da realizzare. La nostra economia infatti, a differenza di altre economie europee, è fatta da piccole e medie imprese che da una parte sono di straordinaria importanza perché creano il 92 per cento del Pil, ma dall’altra hanno particolarità organizzative che si manifestano anche nel rapporto con la scuola. Le piccole imprese hanno più difficoltà a mettere a disposizione delle aule o dei tutor: per le limitate dimensioni d’impresa, anzi, quasi sempre il tutor coincide con lo stesso imprenditore. Anche le scuole hanno i loro problemi, come l’investimento sui laboratori. Molte volte per costruirne uno servono parecchie risorse, ma poi i laboratori diventano obsoleti dopo 5/10 anni, e mentre le imprese vanno avanti, i laboratori scolastici rimangono indietro. Quindi sarebbe vantaggioso avere i laboratori all’interno delle imprese: una soluzione che è stato da poco oggetto di una riunione interministeriale.

Oltre alle tecnologie, presenti sia nel lavoro delle imprese che in quello nei laboratori scolastici, a cambiare sono spesso i grandi scenari dell’economia.

Altro importante aspetto da curare per rendere efficiente l’alternanza scuola-lavoro è in effetti la formazione, per aiutare i nostri docenti ad essere al passo con i tempi. Per fare questo ci vuole una ‘visione’. Molte volte noi progettiamo i percorsi di studio pensando soltanto all’esigenza del momento, mentre la realtà è in continua evoluzione. Dobbiamo pensare che i ragazzi dall’inizio delle superiori alla fine dell’università impiegano circa dieci anni. In quei dieci anni il mondo può cambiare. Quindi il nostro lavoro deve essere un lavoro progettuale che deve seguire l’evoluzione dei tempi, della società, del lavoro.

A proposito di evoluzione dei tempi e del lavoro: come valuta le indicazioni del Rapporto Green Italy 2013, che prefigura in questo settore centinaia di migliaia di posti di lavoro (Green Jobs) nell’energia, nel ciclo della materia, nel manifatturiero, nella bioedilizia, nel Made in Italy di qualità ed in particolare nell’agroalimentare e nei prodotti tipici? Pensiamo alla ‘sostenibilità’, ormai universalmente prescritta per i processi produttivi e gestionali di qualsiasi prodotto o servizio. E anche alle implicazioni etiche di tutto questo.

Per quanto riguarda la green economy, penso che sia un insieme di contenuti che deve entrare fra le competenze di base di ognuno di noi. Si tratta di un elemento di civiltà che abbiamo l’obbligo di acquisire e di far acquisire ai nostri figli. La green economy è ormai in tutti i settori: non solo nelle produzioni o nella gestione dei grandi sistemi, ma anche nella gestione della propria casa e del proprio lavoro. Penso che sia un settore che dovrà svilupparsi non solo per chi dovrà occuparsene in modo stabile ma per tutti.

L’importanza attuale della Green Economy, a partire dal suo settore tipico, l’agricoltura, è stata colta dalla sensibilità dei giovani, come dimostra il boom di iscrizioni agli Istituti Agrari, oltreché alle Facoltà di Agraria, per gli anni 2014-2015.

Il boom di iscrizioni agli Istituti agrari e Facoltà di Agraria deve renderci felici del fatto che i giovani abbiano preso coscienza delle risorse del nostro Paese: oltre al patrimonio storico-culturale, noi abbiamo una grande risorsa che è la nostra agricoltura, con grande specificità legata alle regioni e di altissimo livello. Con l’agroalimentare, si tratta di un settore che ha grandi risorse. I ragazzi lo hanno capito e quindi intraprendono dei percorsi che possono dare grandi soddisfazioni

Ritiene possibile che nella Scuola possa essere introdotta l’educazione ambientale come introduzione alla relazione tra società e ambiente e quindi come forma ‘estesa’ di educazione civica? Ed eventualmente potrà comprendere i grandi temi della green-economy?

Penso che si tratti di un percorso obbligato, un elemento di civiltà trasversale a tutti i settori produttivi e alla vita di tutti: un elemento che deve entrare a far parte della nostra Educazione Civica, perché una visione ‘verde’ della realtà ed in particolare dell’economia deve essere parte della moralità e dell’etica di ognuno. Anche perché non si verifichino più episodi gravi come i tanti che si sono verificati nel nostro Paese.

Secondo Lei, in che modo la crisi ha interessato l’Italia, ed in particolar modo le imprese?

Abbiamo confuso l’ internazionalizzazione delle imprese con la delocalizzazione, mantenendo e non migliorando la qualità del prodotto. Questo per noi ha aggravato gli effetti della crisi internazionale, una crisi finanziaria che ha gravato su una crisi industriale che a sua volta ha pesato su una crisi identitaria, sociale e morale del Paese. Invece avremmo dovuto incrementare l’eccellenza delle nostre produzioni industriali e tenerle in Italia, come ha fatto la Germania ed internazionalizzare, non de localizzare, le imprese. Anche le piccole e medie.

Cosa si può fare per uscire dalla crisi? C’è una speranza che possiamo dare ai giovani italiani che vogliono investire nella propria terra il loro futuro?

Quello che dovremmo fare veramente è non solo e non tanto internazionalizzare le imprese ma internazionalizzare l’Italia. Che vuol dire portare all’estero tutti insieme turismo, agroalimentare, meccanica, arte, moda, cioè la cultura italiana: qualcosa di nostro e distintivo che non ci può levare nessuno. Quello che ci fa grandi nel mondo è lo stile italiano, il nostro modo di essere, di vivere, di mangiare, di vestirci. E’ la qualità, che è anche qualità ambientale, alla quale anche molti Paesi esteri, anche emergenti sono oggi molto sensibili e apprezzano quello che facciamo in termini produttivi in chiave di green economy. La qualità nasce da competenze e cultura insieme. Dobbiamo puntare sul sistema formativo e sui contenuti di qualità e bellezza. E poi internazionalizzare le imprese. Dobbiamo trovare l‘energia per la rinascita. Ma sono convinta che l’Italia, anche grazie alla straordinaria forza e creatività dei suoi giovani, ce la può fare.

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Author: admin

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