Cosa ha fatto l’Italia alla guida dell’Ue – News dalla Stampa

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GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO – articolo di Andrea del Monaco – «Cosa ha ottenuto Presidente Renzi nel semestre europeo? Ha ottenuto la ridefinizione dei Trattati di Maastricht? No. Ha ottenuto l’esclusione degli investimenti dal calcolo del rapporto Deflcit/PIL? No. Ha ottenuto che la Banca Centrale Europea stampasse moneta? No…. Allora vada a Bruxelles e ottenga una delle cento cose che ha pro-messo». Così il Senatore D’Anna (GAL-Popolari per l’Italia) ieri ha sintetizzato l’assenza di risultati del semestre italiano di presidenza del Consiglio UE.

La cornice era la comunicazione del Presidente del Consiglio Matteo Renzi alle Camere in vista del Consiglio UE del 18 dicembre. Alla Camera dei Deputati il nostro premier ha sparso il suo consueto ottimismo. Secondo Renzi noi italiani «abbiamo rimesso al centro la crescita… abbiamo imposto, non proposto un cambio di passo, nelle politiche UE». Grazie alla presidenza italiana «il contributo che gli Stati daranno al Piano Juncker sarà fuori dal Patto di Stabilità». Ciò costituirebbe un primo passo verso lo scorporo delle spese per tutti gli investimenti dal «Patto» (scuole, banda larga, bolletta energetica, periferie). Purtroppo la suggestione renziana si infrange sulle domande ben poste dal senatore D’Anna. Mentre Francia e Spagna violano il Fiscal Compact noi italiani siamo inchiodati dalla Cancelliera Merkel al 3% e non possiamo investire. Il premier propone una lettura della realtà basata sulla contrapposizione Gufi/Renzi. Al contrario per capire cosa accade è utile contrapporre i fatti alle narrazioni.

I TAGLI IN ARRIVO – Senza tagli aggiuntivi alla Legge di Stabilità «le conseguenze saranno spiacevoli», ha ammonito il Presidente della Commissione Europea Juncker il 10 dicembre. Traduzione: nuovi tagli a marzo. Per tale ragione Matteo Renzi ha ottenuto un solo risultato nel suo semestre di presidenza UE: il rinvio a marzo del giudizio di Bruxelles sulla Legge di Stabilità. Il Commissario Europeo Moscovici ha concesso questo grande favore all’Italia e Renzi potrà votare in primavera senza fare la manovra aggiuntiva che la Cancelliera Merkel chiede.Si presenterà agli italiani come l’attore che ha interpretato il personaggio dell’alfiere della crescita. Negli ultimi sei mesi il copione del film è stato il seguente: il Presidente del Consiglio protesta contro l’austerità a Roma, ma, quando va a Bruxelles non ottiene nulla. Renzi, da un lato, chiede investimenti, dall’altro assicura che l’Italia rispetterà le regole del Fiscal Compact.

I PARADOSSI – L’aporia è alla radice: l’Italia non può investire se rispetta il Fiscal Compact. Al contrario, se rispettiamo il Fiscal Compact, affondiamo nella recessione. Nel paradosso della politica italiana il fronte dei rigoristi che reputano necessario impiccarsi al Fiscal Compact ha perso il suo antico alfiere, il professor Monti. Il 2 marzo 2012 l’ex Presidente del Consiglio sottoscrisse il Fiscal Compact per l’Italia, e ora vuole cambiarlo. Nell’intervista rilasciata a Repubblica il 9 dicembre 2014 il Senatore Monti parla con una sincerità sorprendente: «..Oggi si fa finta che le regole europee siano rispettate, ma non è così. Vi è una flessibilità che viene erogata discrezionalmente a seconda dei momenti e dei Paesi… In Europa ci piace pensare che le regole siano nel complesso rispettate, ma non credo si possa parlare di rispetto quando ci sono Paesi che anno dopo anno chiedono rinvìi nel rispettare gli obiettivi e li ottengono senza difficoltà». Insomma Mario Monti finisce di essere l’alfiere del rigorismo e diviene sostenitore della crescita. Meglio tardi che mai. Tuttavia, qualora Mario Monti avesse cambiato idea prima e non avesse sottoscritto il Fiscal Compact quando era Presidente del Consiglio, oggi non saremmo precipitati nella recessione più degli altri paesi europei.

PRIMA E DOPO – Nel continuo paradosso della politica italiana, ieri al Senato Monti ha detto che grazie al suo Governo siamo usciti dalla procedura per eccesso di disavanzo pubblico. Con quali conseguenze? I tagli su sanità, pensioni (riforma Fornero), scuola e trasporti. Monti dovrebbe scegliere chiaramente tra austerità e crescita. Due anni fa sosteneva che i tagli delle sue manovre erano necessari per evitare sanzioni da Bruxelles. Oggi ammette che la valutazione della Commissione sui bilanci pubblici degli Stati Membri è discrezionale. Per tale ragione le multe di Bruxelles per lo sforamento del 3% arriverebbero solo per Grecia, Portogallo e Italia. Sempre per la stessa ragione, la Francia è ancora sotto procedura di infrazione per disavanzo pubblico e non è stata minimamente sanzionata.

PAROLE, PAROLE – «Il nostro voto a Juncker è stato collegato all’individuazione di una diversa scelta di politica economica» basata sulla crescita ha aggiunto Renzi al Senato. E dove sarebbe la diversa politica economica? Sorprendente la risposta del Premier: «Se dovessimo fare un bilancio dovremmo dire che è cambiato un vocabolario, sono cambiate le parole. È un primo passo…il piano Juncker è anche l’occasione per dire che uno dei nostri obiettivi è stato raggiunto». Sorprendente: il risultato del semestre europeo è il cambio del vocabolario.

UN PO’ DI CONTI – La massaia chiederebbe: il piano Junker quanti soldi programma? Vediamo con ordine: si partirebbe con un Fondo Europeo per gli Investimenti   Strategici (EFSI) di 21 miliardi di euro: 5 di denaro vero della BEI, la Banca Europea degli Investimenti, 16 tra liquidità dell’attuale bilancio UE e garanzie. Successivamente la BEI concederebbe prestiti pari a tre volte il capitale iniziale: tali prestiti dovrebbero coinvolgere investitori privati con un ulteriore effetto moltiplicatore pari a cinque. E così si arriverebbe all’importo di 315 miliardi per i 28 Stati UE (con un moltiplicatore pari a 15). Una Task Force europea valuterà i progetti da finanziare. E qui il problema: un investitore straniero, puntando alla redditività, sceglierebbe di investire su una infrastruttura in Baviera e non nella regione Calabria. Qualcosa non quadra. Perché chiedere prestiti nel piano Juncker quando abbiamo 100 miliardi dei nostri programmi UE? Prima di indebitarsi occorre violare il 3 % (come fa Hollande), quindi spendere i 22 miliardi avanzati dal ciclo 2007-2013 entro il 2015 e programmare bene i futuri 80 miliardi del ciclo 2014-2020 (44 miliardi UE più il cofinanziamento nazionale). Ricapitoliamo gli importi. Come raffigurato in tabella A, sommando la dotazione 2007-2013 dei programmi dei tre fondi ( FSE-FESR-FEASR), l’Italia ha una dotazione di 64,5 miliardi di cui ha speso 42,1 miliardi al 31 ottobre 2014.

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Quindi entro il 2015 deve spendere e certificare 22,4 miliardi: e 4 di quei 22 miliardi devono essere spesi entro il 2014. Come raffigurato in tabella B, sommando i programmi del Governo e delle Regioni, in Campania, Puglia, Sicilia, Calabria e Basilicata occorre spendere 15,5 miliardi entro il 2015: di questi, 3 miliardi devono essere spesi entro il 2014. Ma non è finita qui: come raffigurato in tabella C il Governo ha ancora 4 miliardi da impiegare entro il 2015. Nel ciclo 2007-2013, al 31 ottobre 2014, il Governo ha speso solo 6,94 miliardi degli 11,1 miliardi dei programmi (7 nazionali e 2 interregionali) cofinanziati dai fondi UE nei territori di Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia. Comparando le tabelle del Governo sulla spesa certificata al 31 ottobre 2014 e al 31 maggio 2014 abbiamo tre dati: quanto ha speso ogni Ministro in cinque mesi, quanto deve spendere entro il dicembre 2015, quanto deve spendere entro il dicembre 2014 per evitare il disimpegno automatico dei fondi. Del PON Ricerca e Competitività, il ministro Giannini ha speso 212 milioni, deve impiegare 1187,9 milioni entro il 2015, di cui 140,7 entro quest’anno: potrebbe far tornare i ricercatori meridionali fuggiti all’estero. Del PON Reti e Mobilità, il ministro Lupi ha speso solo 50 milioni, entro il 2015 deve investire 1084 milioni, di cui 188 entro quest’anno: potrebbe estendere l’alta velocità fino a Lecce o concludere la Salerno-Reggio Calabria. Ma come farà a spendere 188 milioni in 40 giorni se in cinque mesi ha speso solo 50 milioni? Il ministro Galletti ha 473,3 milioni per le Energie Rinnovabili: in cinque mesi ha speso solo 5,4 milioni, entro il 2014 deve spendere 206 milioni; sarà capace? Il Ministro Alfano ha speso 62,9 milioni del PON Sicurezza; deve investire altri 262,4 milioni entro il 2015, di cui 50 milioni entro il 2014. Ce la farà? Potrebbe rinnovare il parco auto delle forze di Pubblica Sicurezza.

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IL PROCLAMA – «Il mancato uso dei fondi UE grida vendetta», disse Matteo Renzi. Bene, le grida non si odono. In cinque mesi, del PON Istruzione FSE (lotta alla dispersione scolastica), il ministro Giannini ha speso 85,8 milioni; ne rimangono altri 372,7 milioni. Del PON Istruzione FESR (riqualificazione edifici scolastici) ha speso 21,3 milioni: rimangono altri 229,6 milioni, di cui deve spendere 106 milioni entro il 2014. Sarà capace? Il ministro Franceschini ha 424,3 milioni del PON Attrattori Culturali da spendere entro il 2015, dei quali, 251 milioni vanno investiti entro l’anno. Potrebbe pagare recupero e conservazione di Pompei.

 

 

 

 

TABCMa c’è un mistero. Al 31 ottobre 2014 la spesa certificata è 212,6 milioni; al 31 maggio 2014 era 255,1 milioni. Seppur di poco, la spesa degli altri programmi è avanzata: invece per tale programma è calata di 42,5 milioni. Complessivamente il Governo Renzi deve spendere 4,19 miliardi entro il dicembre 2015; di quei soldi, 950,7 milioni devono essere spesi e certificati entro il dicembre 2014. Improbabile considerando che in cinque mesi ne ha spesi solo 421 milioni. In conclusione qualora l’Italia non spendesse i 22 miliardi avanzati del ciclo 2007-2013 restituirebbe a Bruxelles 14 miliardi di cofinanziamento europeo: i nostri soldi finirebbero nel Piano Juncker. Per evitare tale esito è necessario escludere dal computo del rapporto Deficit/PIl il cofinanziamento italiano ai programmi UE. Questo avrebbe dovuto essere il risultato della presidenza Renzi del Consiglio UE. Al contrario abbiamo ottenuto solo un nuovo vocabolario.

 

 

* Esperto Fondi Strutturali Europei

 

Author: admin

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