I laici cattolici devono scendere in campo, un dovere candidarsi
La Croce quotidiano – Il 30 gennaio si avvicina. Ma prima ancora il 28 gennaio, giorno in cui inizieranno in aula al Senato le votazioni sul disegno di legge sulle unioni civili a firma Monica Cirinnà. Tempo di lotta ma anche tempo di analisi per affrontare la battaglia con convinzione e consapevolezza. Se la piazza del 20 giugno (e quasi certamente anche quella del 30 gennaio) ha dimostrato che un popolo vivo e forte disposto a spendersi per affermare il primato della famiglia naturale e i diritti del minore esiste, altrettanto non possiamo dire dell’attivismo parlamentari dei politici amici del Comitato ‘Difendiamo i nostri figli’. Grande riconoscimento va di certo rivolto a uomini da sempre in prima linea per rappresentare gli ideali della propria comunità, della propria gente: mi riferisco ai già citati Mario Mauro, Carlo Giovanardi, Gaetano Quagliariello ad esempio. Senatori che in ogni circostanza hanno espresso, con ragione, il loro convinto no alle unioni civili. Questo ‘manipolo’ di combattenti ha tenuto duro durante tutti i lavori della commissione giustizia al Senato, portando a casa il grande risultato del ritiro del provvedimento (vista l’incapacità della maggioranza di riuscire a far votare il disegno di legge) e la presentazione di un Cirinnà bis in aula al Senato.
Ora però questo non è più sufficiente perché i numeri al Senato sono altri e, con la logica della maggioranze variabili varata dal presidente del consiglio Renzi e con Area Popolare tutt’altro che disposta a mettere in discussione l’alleanza di governo pur di bocciare il ddl sulle unioni civili, il rischio di non essere in grado di portare il Partito Democratico al ritiro del provvedimento è davvero alto. Per questo mi pongo una domanda: perché oggi la rappresentanza cattolica è ridotta ai minimi termini e non riesce più ad incidere negli equilibri dei partiti maggioritari in parlamento? Le motivazioni da addurre potrebbero essere molteplici e da anni si tengono seminari volti a definirne un quadro dai contorni più chiari e marcati: credo però che non occorra più perdere tempo a comprendere solamente il perché ma che occorra capire il motivo per cui c’è bisogno di una nuova generazione di laici cristiani impegnati in politica, come ha ribadito in uno straordinario intervento Benedetto XVI a Cagliari nel 2008.
Troviamo risposta a questa domanda attraverso la lettura del discorso tenuto dall’Arcivescovo di Milano Card. Angelo Scola al Consiglio episcopale milanese in occasione delle elezioni amministrative di Milano: nessuna indicazione di voto ma un forte appello ai cattolici a ‘scendere nell’agone politico per essere protagonisti attraverso un forte ancoraggio alla dottrina sociale della Chiesa, evitando ‘riproposizioni di principi astratti e di ideologie’. Parole forti, declinate ulteriormente dal Cardinale quando entra nel merito dei temi su cui un cattolico deve spendersi: ‘la famiglia e le problematiche antropologiche e demografiche, la povertà e le forme della solidarietà, il lavoro e le prospettive per i giovani, la libertà di educare, l’attenzione alle periferie geografiche ed esistenziali’. Come testimoniare tutto questo? I cattolici, secondo Scola, ‘devono farsi avanti con proposte concrete e locali, a prendere la parola, guadagnare ascolto, essere presenze stimolanti e costruttive per tutta la comunità cristiana, non solo in confronti ‘privati’ o in contesto accademico’. Occorre quindi che il nostro mondo si tolga un po’ di polvere dalle spalle e riprenda in mano il proprio destino, cercando di essere presenza nel mondo ma non del mondo. Perché, come afferma l’Arcivescovo di Milano, in un momento caratterizzato da ‘scetticismo, scoraggiamento, paura, astensionismo e individualismo quello dei cattolici è il dovere della partecipazione’. In questo senso il grande messaggio lanciato dal Card. Scola è quello di invitare chi ‘ne ha capacità, preparazione e possibilità… a presentarsi come candidati con la gratuità di chi si offre per un servizio e ci rimette del suo’. Questo risulta necessario per scongiurare che il paese ‘muoia di tristezza, banalità, rassegnazione’. Con questa preoccupazione siamo impegnati ogni giorno per dare ragione e corpo ad appelli come questi: non possiamo non essere noi cristiani, noi cattolici, capaci di una testimonianza che non sia viva e creativa anche nell’ambiente politico e civile.
L’esperienza straordinaria del Comitato ‘Difendiamo i nostri figli’ sia da monito e lezione per la nostra generazione: la piazza è segno di un popolo che vive e che domanda. Ora occorre che da quel popolo nasca e cresca una comunità di giovani politici cattolici capaci di tradurre il pensiero in azione.
Mirko De Carli