L’opportunità di una buona riforma e il deplorevole progetto del governo. Il contributo di uno studente della Sapienza

MANOVRA: SENATO; AL VIA DISCUSSIONE GENERALE

ROMA – di Gianluca Pignotti, studente di Giurisprudenza, Sapienza Università di Roma – La seconda parte della costituzione che ci si affretta a modificare è tanto fondamentale quanto la prima. Se nella prima infatti sono raccolti i principi fondamentali, nella seconda è fissato l’ordinamento della repubblica, ossia quel sistema di poteri costituito per far si che lo stato svolga i suoi compiti non solo in maniera efficiente, ma anche e soprattutto nel rispetto e nella attuazione di quei principi fondamentali sanciti nella prima parte.

Oggi ci si presenta una grande opportunità per migliorare il sistema superando il bicameralismo paritario. Costituendo due camere che svolgano compiti diversi si potrebbe allo stesso tempo garantire l’efficienza della azione di governo, l’equilibrio dei poteri, la tutela delle minoranze e l’attuazione e il rispetto dei principi fondamentali della carta.

Come?

In primo luogo affidando alla sola camera dei deputati eletta con metodo maggioritario il potere legislativo ordinario e il rapporto fiduciario con il governo.

In secondo luogo attribuendo ad un senato eletto su base regionale e con criteri proporzionali le funzioni di garanzia e di controllo.

Solo una camera eletta direttamente dai cittadini sulla base di criteri proporzionali e su base regionale può efficacemente svolgere tali funzioni e al contempo essere espressione delle comunità locali. Le competenze principali del senato così concepito dovrebbero riguardare l’elezione del Presidente della Repubblica, dei membri di nomina parlamentare della corte costituzionale e del Csm; il potere di deliberare il rinvio pregiudiziale alla corte costituzionale di tutte le leggi approvate dalla camera dei deputati e non solo di quelle elettorali; la risoluzione dei conflitti tra Stato e comunità locali; l’espressione di pareri vincolanti riguardo i temi etici; la formazione di commissioni di inchiesta; la possibilità dei gruppi di senatori di presentare alla camera disegni di legge o emendamenti.

Alcune di queste cose in effetti sono previste nel ddl Boschi, peccato che il numero dei senatori in rapporto con il numero dei deputati, la composizione del senato, e la legge elettorale ipermaggioritaria approvata alla camera rendono sostanzialmente inefficaci le garanzie costituzionali offerte dal testo governativo.

La questione più grave riguarda i rapporti tra presidente del consiglio e presidente della repubblica. Infatti ben potrebbe verificarsi che queste due figure siano espressione non solo di una medesima maggioranza, ma di un medesimo partito con tanti cari saluti al ruolo di garanzia che la costituzione assegna alla figura del capo dello stato. Ciò sarebbe reso possibile dalla sovrarappresentazione offerta dall’Italicum, dal quasi insignificante peso politico dei senatori riuniti in seduta comune con in deputati (dato il divario numerico delle assemblee 100 senatori e 630 deputati), e dalla mancanza di autonomia dei senatori non eletti (basterebbe infatti avere dalla propria parte un piccolo numero di fedelissimi).

Discorso simile varrebbe per le future riforme costituzionali che alla camera potrebbero essere approvate da un unico partito (sempre beneficiario di una enorme sovrarappresentazione, mentre al senato sarebbero esaminate dai medesimi soggetti nominati con un metodo che ricorda più la passata esperienza della democrazia organica che il modello tedesco.

In Germania infatti il senato è composto dai delegati dei governi degli stati federati e i senatori sono sottoposti al vincolo di mandato, mentre i senatori del ddl Boschi sarebbero votati da e tra i membri di partito non rappresentando l’istituzione locale ma rispondendo alle direttive dei capi-partito locali.

Ci sarebbe molto altro da dire ad esempio sulle modalità di scelta dei membri della corte costituzionale e dei membri del csm, o sul pastrocchio che emerge dagli articoli del testo che mantengono in piedi una sorta di inutile bicameralismo consultivo, o sull’innalzamento da 50000 a 250000 firme per presentare disegni di legge di iniziativa popolare e da 500000 a 800000 firme per proporre referendum abrogativi, o ancora sul tema della immunità, ma una analisi così approfondita non spetta a questo articolo.

Qui è invece il caso di ricapitolare in via generale l’assetto delineato dalla proposta del governo, ossia quello in cui una forza politica del 33 % che disponesse di un minimo di senatori, coalizzandosi con un partito del 4% (che con l’Italicum non otterrebbe seggi) sarebbe in grado di controllare la camera, di nominare il Presidente della Repubblica, di esprimere il presidente del consiglio e il governo, di condizionare la magistratura, e ( con un minimo di difficoltà in più) di modificare la costituzione.

In definitiva quello che emerge è una riforma non migliorativa, che anzi delinea un assetto dei poteri non equilibrato, e che ci farebbe rassomigliare di più a quella che alcuni chiamano una “democrazia putiniana” piuttosto che ad una sviluppata civiltà occidentale.

 

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