L’Orazio Flacco compie ottanta anni. Inaugurazione di una mostra alla presenza del sottosegr. Angela D’Onghia
Repubblica ed. Bari – La storia inizia con un tumultuoso collegio docenti. I professori si riuniscono come ogni mese ma, questa volta all’ordine del giorno c’è il cambio di nome dell’istituto. È un dibattito accesissimo in cui si fronteggiano i latinisti, sostenitori del poeta del carpe diem, e gli scienziati, legati alla figura del medico patriota. Si va ai voti. Ed è così, nell’anno scolastico 1934-35, che l’istituto Domenico Cirillo si trasforma nel liceo classico Orazio Flacco. Da allora nelle aule del lungomare Vittorio Veneto si sono alternate intere generazioni. Ottant’anni di storia che la scuola ha deciso di festeggiare. Domani, alla presenza del sottosegretario all’Istruzione, Angela D’Onghia, sarà inaugurata la mostra documentaria “Il Flacco e la città”. Foto d’epoca, vecchi libri, strumenti antichi. E le testimonianze di quando la palestra della scuola fu trasformata in panificio militare e i docenti ebrei furono licenziati. “Un legame stretto e organico quello tra il liceo e la città – spiega il preside Antonio d’Itollo – il Flacco ha rappresentato un polo di riferimento formativo e culturale. Qui hanno insegnato professori come Fabrizio Canfora, Renato Scionti, Elvira Tatulli e si è formata la classe dirigente di Bari. Ma la funzione del Flacco è andata oltre: non solo ha ospitato i rampolli della borghesia, ma ha promosso anche l’ascesa sociale”. Su quei banchi ha studiato il sindaco Michele Emiliano. “Avevo 10 anni – ricorda il primo cittadino – eravamo in macchina, mio padre guidava e mia madre disse ‘vedi questa scuola? Tu andrai qui’. Fu dura perché in mezzo a tutti quei nomi giganteschi, figli della Bari che comandava in politica, economia e cultura, io avevo un’idea di me stesso modesta. Devo tutto al professor Cassano che si accorse che avevo anch’io delle qualità intellettuali e cominciò a darmi da leggere libri di storia integrativi. Fece il miracolo: costruì la mia autostima. È stata la scuola pubblica, e quella scuola, a farmi credere in me stesso”. È una storia, quella del Flacco, fatta di legami tra docenti e alunni che vanno oltre quattro mura. “La professoressa del ginnasio, Annamaria Viganotti, è stata la mia testimone di nozze – racconta la pm della procura di Bari, Isabella Ginefra – noi ex allievi abbiamo costituito un’associazione a lei dedicata e in questi giorni assegneremo una borsa di studio. Sono stati anni speciali, ci hanno formato come professionisti e come uomini, nel lavoro e nella vita”. Dalle aule scolastiche alle aule giudiziarie il passo è stato breve anche per l’avvocato Michele Laforgia. “Non è facile spiegare a chi non c’era cos’è stato il Flacco alla metà degli anni ’70 – commenta il penalista barese – furono anni intensissimi, di entusiasmo e dedizione. In occasione di un’occupazione il preside, per evitare la denuncia, finì per affidarci le chiavi del portone di ingresso, invitandoci a spegnere la luce e chiudere la porta al momento del rientro a casa. Il Flacco era un rifugio sicuro, per alcuni di noi il solo luogo di autentica socialità. Grazie a Nunzia, Rosaria, Luigi e Caputi, i bidelli, il Flacco non è mai stato una scuola di ‘fighetti’, hanno insegnato a generazioni di ragazzi che c’è molto da imparare pure da chi ha la licenza elementare e un misero stipendio”. “Oggi il ricordo della scuola – racconta il romanziere Gianrico Carofiglio – è molte cose, ma non so perché, più di altre, quello delle partite a pallone nel grande spiazzo”. E la memoria lo scrittore l’ha custodita in un passaggio del suo romanzo ‘Il bordo vertiginoso delle cose’. “Ti sposti sul grande spiazzo davanti all’ingresso principale della scuola – si legge – ci sono dei ragazzini che giocano a pallone e di nuovo sperimenti un clamoroso scollamento dalla realtà. Il tempo si distorce e ti sorprendi a osservare i ragazzini alla ricerca di qualcuno che conosci, qualche tuo amico, qualche compagno di classe, qualcuno cui chiedere se puoi giocare anche tu”
Francesca Russi