Mario Mauro risponde alla “Lettera aperta sulle periferie di Milano”
Carissimi,
innanzitutto Vi ringrazio per avermi voluto inviare la vostra lettera. E’ un contributo importante che parla, tra le righe, della vita di ciascuno di voi e questo mi consegna una responsabilità alla quale non intendo sottrarmi.
Condivido interamente il vostro ragionamento e percepisco forte la domanda di senso che da esso proviene: il significato della parola dignità prima di tutto, il modo in cui essere comunità e il dovere della responsabilità di chi ha il potere per agire.
Quando, alcuni mesi fa, ho promosso la nascita del movimento dei Popolari per l’Italia, queste erano alcune delle principali domande di senso che io stesso mi ponevo, unitamente alla determinazione forte perché vi sia una nuova stagione per il nostro Paese.
Perché ciò accada davvero, non c’è dubbio, il primo cambiamento è quello di mentalità: chi vive nelle istituzioni deve farsi carico dei problemi, costruire risposte e farlo rapidamente.
Le istituzioni non servono per usare i cittadini, ma servono per servire i cittadini, per mettersi a disposizione dei cittadini, per spendersi per i cittadini: sono un patto di libertà con il quale noi cediamo quote della nostra sovranità in cambio di garanzie e di servizi.
E delle istituzioni che, invece, sono concepite per la gestione della rendita politica, perché il tempo che passi in rapporto con la burocrazia, sia un tempo in cui abituarsi a non trovare risposte, sono istituzioni che negano se stesse.
Un ragazzo che abbia una motivazione per mettere su casa, metter su famiglia, mettere al mondo dei figli; un anziano solo che, dopo aver lavorato una vita, si trova nella condizione di essere recluso in casa, quel comitato o quel cittadino che denuncia l’esistenza di zone franche e l’impossibilità di una convivenza fondata sul rispetto altrui, quella giovane donna che, insieme ad altri amici, prepara un progetto di auto organizzazione rivolto agli anziani e ai bambini del quartiere, gli uomini delle forze dell’ordine che, nel tempo, intervengono sulla stessa emergenza una, due, tre volte, ma non sono supportati da un’azione di governo capace di affrontare i problemi alla radice; una persona che tira su la saracinesca tutti i giorni, uno che fa impresa, uno che svolge un’attività di commercio, uno che si assume nella pubblica amministrazione la responsabilità non di usare il tempo degli altri, ma di mettersi a disposizione, ebbene costoro meritano.
Sono d’accordo: il concetto stesso di periferie va superato e considerare come priorità la riqualificazione urbanistica e sociale delle nostre città è doveroso quanto urgente, su questo terreno intendo impegnarmi e i Popolari a Milano saranno un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono ridisegnare la città.
Arrivo dalla Puglia, sono un insegnante e negli anni passati insieme ad altri ho creato attività d’impresa: uno dei successi più belli che ho vissuto è stato quello di fondarne una insieme ad un mio ex-studente, che pure avevo bocciato, e che oggi è a capo di quella impresa.
Non è più la stagione di dire le cose senza avere le capacità di realizzarle.
Per farlo abbiamo bisogno gli uni degli altri, perché ciò accada costruiamo l’Italia Popolare e un Paese in cui l’importante è quale speranza hai nel cuore e non quale storia ti porti dietro.
Mario Mauro
Presidente dei Popolari per l’Italia
***
Di seguito la Lettera aperta inviata al Presidente dei Popolari per l’Italia, sen . Mario Mauro firmata da oltre un centinaio di cittadini – artigiani, portavoce di comitati, rappresentanti dell’associazionismo, imprenditori, piccoli commercianti e semplici cittadini – che vivono quotidianamente le periferie di Milano.
PERIFERIE: BASTA RETORICA
SICUREZZA, RIQUALIFICAZIONE URBANISTICA E RISCATTO E SOCIALE
al Presidente dei Popolari per l’Italia
I quartieri delle periferie urbane di proprietà privata e pubblica sono caratterizzati oggi da problemi che assumono evidenze molteplici: bassa dinamicità nei processi di riqualificazione urbanistica e delle funzioni, degrado edilizio e spazi abbandonati, forte presenza di etnie straniere, alta presenza di anziani e anziani soli, rifugio nel quale scaricare l’emergenza sociale di turno, fenomeni di bullismo, servizi sociali per l’assistenza e pochi progetti degli abitanti per l’ autorganizzazione, la sussidiarietà e il riscatto sociale, problemi di sicurezza legati all’assenza di una strategia complessiva che sostenga il lavoro delle forze dell’ordine.
Assistiamo spesso e da più parti nelle istituzioni ad una retorica sulle periferie, molto meno a strategie, politiche ed interventi strutturali mirati al superamento stesso di una concezione che separa le nostre città attribuendo un valore ai quartieri di frontiera e alle persone che vi abitano.
Il punto non è portare la città nelle periferie, bensì invertire la prospettiva e far rivivere complessivamente le nostre metropoli valorizzando il sapere e saper fare che nel territorio esiste, connetterlo a sistemi di relazione e disponibilità economiche private.
Come hanno giustamente osservato diversi professionisti dell’innovazione “molte delle migliori idee di innovazione nascono fuori dalle università e si alimentano nelle agenzie formative non tradizionali.”
Se la crisi economica, la necessità di rilanciare il settore dell’edilizia e tutto l’indotto artigiano ad esso connesso può rappresentare l’occasione per porre al centro la riqualificazione urbana di porzioni intere di città, secondo una visione dinamica per cui la fisionomia dei quartieri non rimane immobile per decenni individuando misure fiscali di vantaggio per attrarre capitali e investimenti, nulla sembra muoversi in tal senso.
Nonostante i recenti positivi provvedimenti, ancora non trova applicazione completa il concetto di housing sociale nella definizione che l’Europa ne ha dato, il mix sociale, l’assegnazione di alloggi in base a quote di reddito ISEE per evitare i quartieri ghetto, la semplificazione delle leggi sull’affitto e i piani di valorizzazione immobiliare vanno a rilento.
Il patto di cittadinanza per chi arriva e resta in Italia volto ad uno scambio tra diritti e assunzione piena di responsabilità nella sicurezza e difesa del Paese, è da riproporre per rinsaldare coesione sociale e rafforzare un’identità comune nella dimensione cittadino-istituzioni.
Aprire una stagione di formazione professionale e realizzare un vero e proprio programma Erasmus della formazione professionale, è una priorità: la mobilità sociale in Europa deve essere una possibilità effettiva per tutti i nostri ragazzi perché possano orientarsi senza timori e sudditanze nel mercato del lavoro globale.
Valorizzare il terzo settore e in più in generale l’autorganizzazione sociale e di impresa come occasione di protagonismo giovanile favorendo l’acquisizione della consapevolezza di sé e delle proprie capacità per battere il senso di smarrimento generazionale.
Riaprire una riflessione sui Piani locali per il commercio per valorizzare piccole imprese in difficoltà ed evitare la concentrazione di tipologie commerciali simili e mono etniche, incentivando la riorganizzazione della presenza stessa delle attività in rapporto alle altre funzioni possibili.
Favorire nelle commesse pubbliche e nei progetti complessi le imprese artigiane che assumano lavoratori residenti nei quartieri a rischio (come era la tendenza a cui mirava la stagione dei contratti di quartiere) incentivando così qualità dei lavori e attaccamento al quartiere.
Occupare gli spazi pubblici sfitti, gli attuali e quelli che facilmente è possibile ricavare, concedendoli in comodato d’uso gratuito a commercianti e artigiani che assumano lavoratori residenti in quei quartieri o ad attività espressione di quelle energie.
Immaginare sul modello giapponese l’organizzazione mutualistica di servizi volti alla cura degli anziani e alla prevenzione delle malattie.
Quelli qui contenuti sono solo alcuni spunti di una riflessione ben più ampia ma abbiamo sentito il bisogno di metterli nero su bianco: occuparsi delle periferie significa porsi l’obiettivo concreto del loro superamento, accantonare la retorica della solidarietà fine a se stessa, immaginare politiche fiscali nazionali e regionali volte a favorire patti territoriali per la sicurezza, la riqualificazione urbanistica e il riscatto sociale.
Significa interlocutori capaci di cogliere la complessità delle dinamiche che si vivono, con la determinazione di realizzare una trasformazione tangibile e l’ambizione di riavvicinare tante e tanti ad una politica popolare nella visione e nei riferimenti sociali.
E per questo abbiamo scelto di scriverle.