MEETING RIMINI/Mauro: gli uomini soli al comando passano, CL resta

mauro-formigoni.jpg.aspxwww.intelligonews.it – intervista a Mario Mauro – I politici, i leader passano ma il Meeting e Cl restano. Ruota attorno a questo concetto di fondo l’analisi di Mario Mauro, presidente dei Popolari per l’Italia, uno degli esponenti autorevoli di Cl nel campo del centrodestra che a Intelligonews spiega perché e in cosa è cambiato il rapporto del ‘suo’ mondo rispetto al renzismo.

Qual è il suo giudizio complessivo sul meeting di Cl?

«Ho partecipato ad alcune giornate del Meeting come faccio ogni anno. Tutto quello che vedo è che c’è l’entusiasmo e soprattutto la capacità di penetrare ciò che non appare nelle analisi culturali e sociali del nostro tempo, che è poi la caratteristica del Meeting. Tra l’altro voglio dire che quest’anno il Meeting era veramente molto bello; una bellezza che è dentro la frase proposta come titolo perché chiama in causa per molti versi il senso di smarrimento che caratterizza questo nostro tempo. Molto bello anche perché attraverso le mostre e gli incontri io mi sono goduto i contenuti che al di là delle questioni contingenti, sono stati capacità di riproporre una strada, starei per dire personalizzata, ad ogni uomo».

Lei che fa parte del mondo di Cl, come è cambiato il Meeting nell’era renziana?

«Questa mi sembra la prima cosa da ribaltare: non è che il Meeting cambia nell’era renziana, il vero punto è domandare a Renzi se per lui è cambiato qualcosa dopo la sua partecipazione al Meeting; a parte il fatto che la vicenda renziana, onestamente, più che all’inizio mi sembra alla fine».

Perché?

«E’ una vicenda politica dove c’è un gruppo di persone straordinariamente preparate per un’occupazione del potere ma che mi sembra mancare di una visione, non esprimere un orizzonte di governo; tant’è che per esprimere una qualche visione di governo si riduce a scimmiottare chi lo ha preceduto».

Dunque anche per lei Renzi al Meeting è stato il nuovo Berlusconi?

«Non è che Renzi sia il nuovo Berlusconi anche perché l’ex premier è abbastanza un unicum nella vicenda politica italiana. Renzi mi sembra un uomo straordinariamente attrezzato per il potere ma quando pensa allo Stato pensa agli uomini da mettere in luoghi-chiave per la gestione del potere; dopodichè non sa cosa farne perché il modo irrilevante con cui siamo passati dalla gestione del semestre di presidenza europeo alla lunga cavalcata sull’Expo rispetto alla quale sembriamo più preoccupati se abbiamo venduti i biglietti rispetto a cosa volevamo ottenere e cosa abbiamo ottenuto, mi sembra significativo. Renzi al Meeting ha sviluppato un’analisi sociologica senza alcun giudizio politico all’interno. L’unico spunto politico su questi venti anni di seconda Repubblica vissuti – come ha detto il premier – con il tasto pausa premuto sul registratore, non lo condiviso per ragioni molto pratiche che non possono sfuggire neanche a chi ha organizzato il Meeting. Non può sfuggire il fatto che questi 20 anni c’è stato un luogo politico in cui si è consolidato fino nei numeri, una forma di gestione della cosa pubblica orientata al bene comune, come è stata la Regione Lombardia del presidente Formigoni».

Ma Formigoni al Tempo alla vigilia dell’evento di Rimini ha criticato “l’eccessivo renzismo” del meeting. Come è cambiato il meeting dai tempi di Mauro, Formigoni e Lupi?

«Io sono stato critico con Berlusconi quando c’era troppo berlusconismo e sono critico con Renzi sul fatto che c’è troppo renzismo. Non la vedrei così. Ci sono uomini politici che caratterizzano attraverso il loro carisma un certo tempo della nostra storia pubblica, per cui di volta in volta il Meeting viene considerato andreottiano, craxiano, berlusconiano, prodiano un po’ meno, e ora renziano. C’è però un dato di fatto: il Meeting è una storia che si è sviluppata generando altre storie, sia sul piano sociale che della cultura politica, perché il concetto di amicizia tra i popoli solo Dio sa che ce n’è bisogno oggi… Poi le esperienze politiche contingenti sono tramontate, ognuna suo modo. Se oggi c’è un tempo per il renzismo non mi scandalizzo perché quello che mi preme è la distanza critica rispetto al renzismo, anche da parte di chi ha simpatia per Renzi; così come in passato, pur nel rispetto delle idee di ognuno, ho fatto con Berlusconi anche se facevo parte dello stesso partito. Il ruolo del Meeting è la capacità di far crescere la distanza critica per cui io mi aspetto che chi è andato il meeting e chi l’ha organizzato, siano equilibratamente critici nel rapporto con chi incarna oggi il potere. Il Meeting ha il compito di offrire un gigantesco spaccato sulla realtà per cercare di comprenderla meglio e anche un po’ di cambiarla. Da questo punto di vista la mia critica a Renzi non è per il tipo di uomo politico che è ma per come concepisce la democrazia, ovvero in termini autoritari».

Ma non le pare che il Meeting si sia ormai “deformigonizzato” intendendo con il termine non la persona ma un gruppo di esponenti politici tra cui lei e Lupi che hanno rappresentato una lunga stagione di attivismo anche dentro Cl?

«Non ci vedrei nulla di male. Io ho iniziato il mio percorso politico alla veneranda età di 37 anni, mentre Lupi e Formigoni sono diventati uomini pubblici subito dopo gli studi universitari. Eppoi io credo che questo sia un po’ una mitizzazione, nel senso che siamo persone che dentro alle vicende italiane degli ultimi, 20-30-40 anni a seconda da dove la si guarda, hanno cercato di rispondere a una storia e di incarnare dei convincimenti con molta semplicità. Dovessi rileggere oggi la mia esperienza politica, posso dire che sono molto contento, fiero, lieto, grato per aver servito il mio Paese e conservato qui convincimento che mi hanno animato nell’assumermi la responsabilità politica. Poi, quanto questo abbia potuto incidere nella vicenda politica nella quale abbiamo operato, specie quella a cavallo tra la prima e la seconda Repubblica, mi permetto di citare alcune cose che riguardano trasversalmente la storia politica delle persone che lei ha citato».

Quali? E il ruolo di Cl?

«Sicuramente Formigoni appartiene alla generazione che con altri ha avuto il merito di salvaguardare la libertà del nostro Paese in una stagione difficile come quella del terrorismo, perché non Formigoni, ma la presenza di Cl nelle università e quindi anche Formigoni, è stata importante. Sia io che Roberto abbiamo avuto poi incarichi nella vicenda europea, in cui ci siamo spesi per far capire allora ciò che comprendiamo oggi e che lo stesso Renzi riconosce, ovvero che un’Europa che non riconosce la propria natura di progetto cristiano non va da nessuna parte. Sul piano strettamente politico, forse la cosa rilevante che mi riguarda più da vicino, è che io rispetto a Lupi e Formigoni sono l’unico che è arrivato a questa legislatura rompendo il fronte della militanza nello stesso partito e l’ho fatto per la convinzione della necessità dell’Italia di avere avuto bisogno di una grande coalizione per rimuovere il macigno che aveva sulla strada, anche perché destra, sinistra e centro da soli non vanno da nessuna parte. In quella stagione ho ricoperto un incarico di grande responsabilità; oggi il mio giudizio è diverso dagli altri perché non ritengo il governo Renzi un governo di grande coalizione, cosa che invece era il governo Letta che fece lo sbaglio di cacciare Berlusconi dal parlamento e quindi diventò un governo del Pd sorretto da fuoriusciti di Fi che nel tempo sono diventati il ‘cagnolino’ di compagnia di Renzi».

Tornando ai temi del mondo cattolico, non pensa che su questioni come le unioni civili, ci dovrebbe essere un fronte comune dei cattolici e di quelli impegnati in politica?

«Ci sono e ci sono sempre state diverse sensibilità nel mondo cattolico sui temi che lei citava. Oggi è cambiato il modo: se prima i cattolici erano fortemente impegnati a produrre mediazione non solo gli attori politici ma anche le realtà di carattere sociale ed ecclesiale, oggi mi sembra che si tenda pericolosamente a dipendere ancora una volta del tutto dal leader. E onestamente, è un modo di intendere il cammino che porta al bene comune che non condivido: quando c’è un uomo solo al comando, come dice il presidente Mattarella, e quest’uomo si comporta come certi capi-branco che per sventura prendono una strada sbagliata, c’è tutto un popolo che precipita nel burrone. Quindi sugli argomenti che lei ha citato, io laicamente, senza pregiudizi e con lo sforzo di capire sempre le ragioni degli altri, non esiterò a dire la mia e a comportarmi di conseguenza come sto facendo nel dibattito sulla riforma costituzionale».

Lucia Bigozzi

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