MILANO/Forte: la sfida di una città plurale dopo Parigi

milano_islamIl Giorno – C’è da riflettere alla notizia che quattro dei terroristi che hanno agito venerdì sera erano europei. Facevano parte di quelle seconde generazioni che vivono nei nostri quartieri e frequentano le nostre scuole. Alcuni di loro li avevamo visti anni fa incendiare le banlieues. All’epoca, un arguto André Gluksmann che purtoppo ci ha lasciato di recente, scrisse che quei giovani erano paradossalmente il frutto di un modello di integrazione riuscito. Un modello nichilista per cui «essere forti significa essere in grado di nuocere. Più distruggi, più conti, più sarai rispettato». Un modello che nullifica le differenze in nome dell’uguaglianza e appare indifferente al dato religioso. Quando non ostile. Un modello che ha paura o disprezza i simboli della tradizione cristiana. Come irride quegli interrogativi profondamente umani sul senso del vivere che soli abilitano ad entrare nel dialogo tra culture. Il risultato è che coloro che governano sia a livello locale che nazionale sembrano incapaci di distinguere chi è sinceramente religioso da chi porta avanti un progetto fondamentalista. Non basta, infatti, scendere in piazza e dirsi tutti francesi per essere legittimati ad aprire una moschea. Non basta se ogni 25 aprile i rappresentanti di quelle stesse comunità insultano la Brigata ebraica che sfila per le vie del centro. Non basta se i propri affiliati invitano a Milano e si fanno fotografare con Musa Cerantonio, reclutatore di jihadisti arrestato nelle Filippine. Non basta se per accreditarsi nell’opinione pubblica si omette il fallito attentato di Mohammed Game il 12 ottobre del 2009 con la storiella che a Milano nessun musulmano ha avuto a che fare con atti di violenza.

Matteo Forte

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