Andiamo oltre Renzi Perón. L’editoriale di Potito Salatto

MEP Potito SALATTO in the European Parliament in Strasbourg

 

FUTURO EUROPA – Che Renzi stia avendo la capacità di gettare tutto all’aria, è ormai sotto gli occhi di tutti. Lo sta facendo non solo con la vecchia classe dirigente del Pd, ma con lo stesso concetto di partito. Qualsiasi partito. E’ una frana da lui costantemente scatenata che coinvolge tutto e tutti. Associazioni, sindacati, Confindustria, in poche parole tutto ciò che non rappresenta la sua persona deve andare al macero per consentirgli un vuoto completo che lo lasci al centro del potere senza plausibili alternative.

Non è forse questa una visione peronistica del potere? Si dice che Berlusconi abbia tentato senza riuscirci la stessa strada pensando solo alla sua azienda, Mediaset. Ma Renzi non pensa forse, peraltro riuscendoci, solo alla sua bottega, ovvero la Leopolda? Entrambi ostentano una sicurezza fuori dal comune. Berlusconi, novembre 2011: “La crisi non c’è, i ristoranti e gli alberghi sono pieni”; Renzi, ottobre 2014: “Abbiamo prodotto 18 miliardi di tasse in meno in un solo anno”. Il primo è politicamente finito come sappiamo, il secondo come finirà?

E’ ovvio che in un Paese come il nostro alle prese con una crisi politica, economica e finanziaria che non accenna ad arrestarsi, una parte (virtualmente maggioritaria) dei cittadini esulti e sfoghi i propri risentimenti attraverso questa nuova “icona” della politica moderna lontana da quelle conosciute nel corso del passato secolo. Una domanda però dobbiamo porla prima di tutto a noi stessi: è questo il Paese che vogliamo consegnare alle nuove generazioni commettendo, quantomeno, il reato di “culpa in non faciendo”?

Io dico no. Noi Popolari di Mario Mauro diciamo no. L’Italia deve ritrovare valori, identità e ideali che non possono essere cancellati da uno sfrenato nuovismo della rete fatto di slogan e marketing che annullano ogni capacità di ragionamento e fanno vivere in un mondo virtuale, non consentendo il confronto, ma anzi rinchiudendo ognuno in se stesso. Cancellando ogni desiderio d’impegno reale nel sociale e nella politica al servizio non solo dei propri interessi egoistici, ma di tutta una comunità nella quale bisognerebbe essere protagonisti e non terminali passivi.

Questa la ragione del nostro lavoro sui territori. Vogliamo confrontarci, individuare soluzioni condivise, far lievitare qualsiasi occasione (sindacale, associativa, eccetera) che colmi la solitudine nella quale ci stiamo costringendo a vivere.

La ripresa economica e sociale non la si raggiunge con gli slogan, con Twitter, con gli hashtag, con Facebook, ma guardandosi negli occhi e capendo dalle varie esperienze cosa sia più urgente fare e come farlo. E’ questa la politica? Certo. Perché abbandonarla senza volgersi verso il passato per costruire il futuro?

Il nuovismo, l’antisistema nella classe dirigente, non hanno forse prodotto esempi certo non edificanti quali quelli di Di Pietro, De Magistris e Marino? Dove sta scritto che per non apparire più comunisti si debba andare contro i lavoratori? Chi ha detto che per non essere più definiti nostalgici democristiani si debbano accettare i matrimoni tra gay ed essere razzisti? E’ ora di dire basta, reagire con coraggio, dignità, ognuno nel suo piccolo.

Certo, le aperture hanno un loro senso. Basta vedere cosa sta succedendo nella Chiesa, ma nessuno può immaginare che la prossima enciclica papale inizi con una bestemmia per essere al passo con i tempi di una società secolarizzata. Lo stesso valga per noi: ne abbiamo tutto il diritto e il dovere. Tacere, essere assenti, significherebbe solo consentire la distruzione di quel poco di buono che è rimasto. Significherebbe non essere vittime, ma complici.

 

[NdR – L’autore dell’articolo è Vicepresidente nazionale dei Popolari per l’Italia]

 

 

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