CONTRIBUTI / Le due Italie: chi le rappresenta?

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FORMICHE – Commento di Ettore Bonalberti – Alle elezioni politiche del 2013 aveva partecipato il 75,18 % degli elettori con un calo di oltre il 5% rispetto alle precedenti del 2008; alle elezioni regionali dell’Emilia e Romagna del 23 novembre 2014, il 37,70% contro il 68,06 % del 2010.Analoghe basse affluenze in altre regioni e comuni in cui si è recentemente votato. L’elettorato italiano si sta dividendo nettamente in due parti: meno della metà va ancora a votare e l’altra metà si astiene.

Con riferimento alla teoria dei quattro stati con la quale ho tentato di rappresentare euristicamente la realtà sociologica dell’ Italia (la casta; i diversamente tutelati; il terzo stato produttivo e il quarto non stato), con molta probabilità al 50% di chi ancora vota vanno certamente ascritti i componenti della casta, alla spasmodica conferma delle proprie posizioni di privilegio e/o gli aspiranti ai medesimi status e ruoli e una buona parte dei diversamente tutelati, con una quota non rilevante di appartenenti al terzo stato produttivo.

Quest’ultimo espressione di una condizione esistenziale, economica, finanziaria e sociale tra le più incerte e penalizzata da un sistema vorace che cattura fiscalmente quasi il 50% del PIL oscilla tra l’astensione, l’indifferenza e la tanta voglia di protesta, talora sostituita da sentimenti regressivi sino a quelli più drammatici dell’abbandono e del suicidio.

E’ in tale situazione di anomia e di crisi di sistema che, con il Presidente Napolitano, sotto la pressione dei poteri forti di BXL e dei mercati della globalizzazione, si sono potuti susseguire, dopo la forzata rinuncia del governo Berlusconi (Novembre 2011 con lo spread al 552 punti), i tre governi dei presidenti non eletti: Mario Monti, Enrico Letta e l’attuale presieduto da Matteo Renzi.

Nel centro-sinistra è prevalsa l’egemonia del giovane leader fiorentino il quale, prima, ha saputo conquistare la leadership del suo partito, in forza di una schizofrenica regola delle primarie che affida anche ai non iscritti il compito di scegliere il segretario del partito, un tempo di competenza esclusiva dei tesserati, e, dopo, con il benservito a Enrico Letta, quella del governo.

In quest’area si assiste al trionfo dell’indistinto, espressione di un trasformismo sostenuto da una migrazione nel Parlamento dei deputati e senatori illegittimamente nominati, che non si era mai visto tanto copiosa nemmeno ai tempi lontani di De Pretis e di Giolitti.

Qualcosa sembra muoversi, tanto all’interno del PD, dove gli ex PCI-PDS-DS sembrano finalmente mostrare alcuni segni di vita dopo i micidiali uppercut subiti dal rottamatore della Leopolda, quanto all’esterno sull’area estrema da Landini a Vendola e sino alla variegata area della sinistra extra parlamentare.

Se nella metà dell’Italia che va a votare si riconosceva, almeno sino al 2013, larga parte dell’elettorato tradizionale di sinistra, tanto da assumerne la guida politica, con il voto alle regionali dell’Emilia e Romagna, anche in quello che è sempre stato il tradizionale serbatoio di voti garantiti, sono intervenuti fattori di disgregazione destinati ad amplificarsi.

Più complessa e di difficile ricomposizione quanto accade nell’area del centro-destra.

Ridotta ai minimi la capacità di leadership del Cavaliere, reso impotente dalla condizione di condannato ed espulso dal parlamento e con un patto scellerato stipulato al Nazareno che, secondo la mia personale maliziosa interpretazione, non ha potuto realizzare il suo esplicito oggetto, le elezioni anticipate con l’Italicum, stante ciò che è accaduto e accade a livello della crisi internazionale (Ucraina, medio oriente e Libia), si è aperto uno spazio enorme e Matteo Salvini tenta di assumerne la rappresentanza.

Quest’area, nella quale si ritrova la maggior parte dell’astensionismo elettorale, è composta dalla maggioranza dei cittadini del terzo stato produttivo, gli unici reali produttori del PIL su cui, con modalità e percentuali diverse, vivono la casta, i diversamenti tutelati e il quarto non Stato del malaffare.

Il tema su cui riflettere è proprio quello della rappresentanza del terzo stato che, onestamente, dopo la manifestazione di ieri a Roma della Lega in salsa padano-nazionale, non può essere assunta dal Matteo lumbard con quelli di Casa Pound e degli estremisti neo fascisti.

Spiace che si sia voluto esibire come un trofeo alla folla, il presidente Luca Zaia, quasi a evidenziare che il governatore uscente non si tocca e il sindaco Flavio Tosi si accomodasse pure nell’anonimato della folla.

Lettura miope della realtà di una grande regione come il Veneto e cattivo servizio a quella stessa regione-stato della Lombardia di Maroni.

Salvini potrà anche acquisire nuovi voti dalla pancia degli elettori delusi e scontenti e aumentare così la percentuale dei voti alla Lega, ma né il Veneto potrà essere riconquistato, né la guida della Lombardia conservata, con la scelta folla di un centro destra lepennizzato e ridotto al ricatto neo fascista. Nessuna ricomposizione tra ceti medi produttivi e classi popolari potrà mai essere compiuta da queste componenti politico culturali capaci di esprimere solo i sentimenti regressivi di un elettorato scontento.

E’ tempo che si ricomponga l’area dei popolari di tutte le diverse parrocchie partitiche, associative e dei gruppi più o meno organizzati. Basta con le divisioni fratricide; intollerabile quella tra NCD, UDC e Popolari per l’Italia al governo e gli altri dell’area PPE all’opposizione.

E’ tempo di ritrovare le ragioni dell’unità con i “ricostruttori” di Fitto e con quanti in Forza Italia e nella vasta galassia dell’area cattolica e laica cristianamente ispirata, dagli amici di Italia Unica di Corrado Passera a quelli del movimento di Della Valle, intendono concorrere alla costruzione di un’alternativa al renzismo e al berlusconismo. Un’alternativa a quel patto del Nazareno che nei prossimi giorni riverificherà la sua capacità reale di tenuta nelle aule parlamentari.

La Federazione dei Popolari italiani, guidata da Mario Mauro, che sta espandendosi in tutte le regioni italiane è pronta a sostenere il processo di ricomposizione dell’area popolare, unica vera e credibile alternativa al trasformismo renzista e al populismo salviniano, fondata sul valore della persona e dei corpi intermedi da declinare con politiche ispirate al principio di sussidiarietà, tanto sul versante del welfare, che su quello dell’economia e delle istituzioni.

Author: admin

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