Di Maggio: «Ora la commissione d’inchiesta sui marò»
IL TEMPO – Intervista di Antonio Angeli al sen. Tito di Maggio – Il senatore Di Maggio denuncia: «La mia richiesta presentata e dimenticata». Accuse a Monti e La Russa. E l’arbitrato rischia di durare dieci anni
«È insopportabile che un Paese come il nostro abbia ancora aperta la questione dei marò»: parola del senatore Tito Di Maggio, dei Popolari per l’Italia, che da mesi chiede una commissione d’inchiesta che faccia chiarezza sulle responsabilità delle istituzioni. Ai più alti livelli. Sì, perché, spiega il senatore, le responsabilità ci sono e una commissione d’inchiesta (monocamerale, perché ha tempi di istituzione più brevi) serve per impedire che quello che sta accadendo a Massimiliano e Salvatore possa accadere ad altri. Lui la domanda di istituzione l’ha fatta e ha anche indicato il possibile presidente: il senatore Mario Mauro, ex ministro della Difesa, da sempre in prima linea per il ritorno dei marò in patria. Ma, per il momento, la richiesta dorme in qualche cassetto del Senato da molto, troppo tempo.
Senatore Tito Di Maggio, come nasce il suo impegno per i marò?
«Per la mia vicinanza politica con Mario Mauro. Ho condiviso con lui, mentre era ministro della Difesa, l’accorata partecipazione a questa vicenda, della quale si è ampiamente interessato. E poi per tutta una serie di verifiche che ho voluto fare a livello parlamentare e dalle quali mi sono reso conto che i conti non tornano».
Quali conti?
«Ci sono una serie di negligenze istituzionali sulle quali è doveroso alzare il velo. Non credo che tutti quelli che oggi si agitano, volendo occuparsi e ragionare sulla questione dei marò, ne abbiano i titoli, da questa storia emergono responsabilità politiche importanti. Per questo ho chiesto che venga istituita una commissione d’inchiesta».
Responsabilità politiche?
«Ce ne sono di tutti i tipi, andiamo da quelle politiche a quelle diplomatiche se non, addirittura, a quelle penali. Responsabilità notevoli, ai più alti livelli istituzionali, ci sono leggi dello Stato che non sono state rispettate e non posso immaginare che chi esercita funzioni così importanti non conosca i codici e, a voler guardare, alcune leggi sono state dimenticate. Sono stati commessi degli errori che oggi ci fanno vivere questa situazione di trepidante attesa per questioni che avremmo potuto risolvere tranquillamente a casa, senza dover negoziare la posizione dei due fucilieri con un Paese che ha leggi, usi e costumi completamente diversi dai nostri».
E per chiarificare queste responsabilità lei chiede la commissione.
«Sì, e rilevo che, evidentemente, certe mie preoccupazioni hanno fondamento, perché mi appare strano che la mia richiesta di istituzione di commissione d’inchiesta sia più antica di altre commissioni, che invece hanno già visto la luce».
Si tratta di una commissione monocamerale, in che data è stata fatta la richiesta?
«Sì, sapendo perfettamente che i tempi di una bicamerale sarebbero stati molto lunghi, ho chiesto semplicemente alla Presidenza del Senato una commissione monocamerale, domanda presentata il 28 gennaio scorso. E recentemente ho anche fatto un intervento in aula chiedendo perché non ve ne sia ancora traccia».
Che fine ha fatto la sua richiesta?
«Non lo so, io ne ho chiesto conto, ho chiesto spiegazioni alla Presidenza del Senato, ma non ho avuto risposta. È una questione politica: credo che le responsabilità in questa vicenda siano molto gravi, ai più alti livelli istituzionali: presidente del Consiglio e ministro della Difesa».
Dell’epoca o successivi?
«Uno dell’epoca e l’altro successivo, anche perché questa vicenda dura da due anni mezzo. È iniziata con un governo è proseguita con un altro. E siamo arrivati a quello di oggi, che segnala tutta la sua incapacità a gestire la situazione».
Una commissione ora potrebbe aiutare?
«Riguarda fatti e attività nostre. L’ex presidente del consiglio Monti non può non sapere che un articolo del nostro codice ci impedisce di consegnare persone ad un Paese che prevede e applica sanzioni di morte. È stata inapplicata una norma di legge e per questo io inorridisco. Se qualcuno avesse avuto contezza di quali erano i provvedimenti da prendere noi, oggi, avremmo i nostri militari qui».
Perché questa commissione non si fa?
«Perché si fa sempre confusione, si pensa che dimostrare di essere un Paese serio potrebbe indebolire la trattativa. Se l’allora ministro della Difesa La Russa avesse proceduto a dare le direttive giuste, quelle che si danno quando dei militari sono su una nave commerciale, noi avremmo evitato che la nave entrasse in porto in India. Sono cose che, se ben studiate, fanno capire con quanto pressapochismo vengono affrontati problemi importanti».
Ci sono parti politiche che sostengono che la commissione d’inchiesta sarà meglio farla quando i marò saranno tornati.
«Ma nel frattempo chi ha commesso delle superficialità le può reiterare, così ci esponiamo a ulteriori rischi di situazioni di questo tipo. E mi sembra palese il tentativo di non disturbare manovre che noi non vediamo. Se la Mogherini oggi dice che si può ragionare sull’internazionalizzazione, alla luce delle risposte che i nostri provvedimenti hanno all’estero, ho poca fiducia delle capacità non diplomatiche, ma contrattuali del nostro governo.
Cosa spera per il futuro?
«Questa vicenda deve finire con il ritorno, insieme, dei marò. Io sono poco propenso ad accettare il rientro a casa di Latorre da solo. La differenziazione delle due posizioni indebolirebbe la posizione dell’altro fuciliere. E la drammaticità dell’internazionalizzazione è che non avremmo più certezze sui tempi. Può durare dieci anni ed è offensivo, per l’istituzione-Paese, accettare una condizione di questo tipo».