D’Ubaldo, il puzzle della città metropolitana. Il silenzio di Marino sulla riforma
Affaritaliani.it – L’INTERVENTO. Entro fine anno dovrebbe prendere forma lo Statuto della nuova istituzione territoriale ma in Campidoglio tutto tace e i nodi della rivoluzione restano ancora aggrovigliati – In Campidoglio tutto tace. Il confronto sulla Città metropolitana sembra per adesso relegato, qui e altrove, alla esercitazione tecnico-normativa degli esperti. Eppure, mediante procedura consultiva tra i Comuni, entro fine anno dovrebbe prendere forma lo Statuto della nuova istituzione territoriale. Dal 1 gennaio 2015 spetterebbe a Ignazio Marino assumere anche le funzioni di Sindaco metropolitano.
Secondo il Presidente dell’Anci, Piero Fassino, siamo dinanzi a “una riforma che per la prima volta dal 1970 ridefinisce l’assetto istituzionale del Paese”. Sta di fatto però che i nodi principali – poteri e risorse – restano ancora aggrovigliati. Non si sa, in effetti, se l’ente destinato a subentrare alla Provincia sia forte a sufficienza, tanto da rappresentare un vero salto di qualità nel sistema di governo delle nostre aree metropolitane.
Nel convegno promosso dall’Anci, il sottosegretario al Ministero dell’Interno Giampiero Bocci (Pd) non ha fatto ricorso alle pinze della diplomazia per smontare la retorica sul carattere epocale di questa riforma: “O la legge – ha scandito – avvia una fase riformatrice complessiva, che coinvolga anche il tema delle Regioni e dei rapporti tra Stato ed Enti locali, oppure non ci sarà nulla di epocale”. In altre parole, siamo ancora ai preliminari e manchiamo di certezze.
Di fatto a un organismo democratico elettivo, ancorché debole per ragioni di equilibrio ordinamentale come la vecchia Provincia, subentra un’autorità di secondo grado che in nome di una superiore potenza ed efficacia amministrativa sfugge, almeno nella fase di avvio, al controllo popolare diretto. Toccherà allo Statuto, quindi alla capacità di raccordo e mediazione dei sindaci dell’Area metropolitana, sanare questa ferita; al contrario lo Statuto, in assenza di precise disposizioni di legge, nulla potrà sul piano della dotazione di maggiori e più penetranti competenze amministrative, con relative fonti di finanziamento.
Nel frattempo anche l’Anci ha osservato che la destrutturazione del sistema provinciale, in attesa che la riscrittura in corso della Carta costituzionale ne certifichi l’abolizione, è servita a “fare cassa” grazie ai tagli della spending review. Gli effetti sono tangibili. Le strade, ad esempio, che formano la rete di comunicazione viaria dell’area metropolitana romana sono in stato di evidente degrado, ben più di quanto osservabile nel perimetro urbano al di qua del Raccordo anulare. In queste condizioni è difficile credere che una tanto ambiziosa trasformazione dell’assetto istituzionale locale possa evitare lo scacco di un fallimento annunciato.
Il riformismo dovrebbe unirsi a una certa misura di realismo. Negli anni ’70, per evocare lo scenario di Fassino, una proposta forse poco accattivante, e tuttavia concreta, prevedeva la creazione di “Province metropolitane”: non si sfasciava il quadro dell’ente intermedio, giacché rimanevano in piedi le Province, ma al se ne prevedeva finanche il rafforzamento, specie nel governo del territorio e dei grandi servizi a rete, proprio nel contesto delle aree metropolitane. Tutto più semplice e tutto più chiaro, almeno rispetto al complicato puzzle dell’attuale legge Delrio.
Dunque, se non stiamo attenti, il processo avviato potrebbe rivelarsi un gran pasticcio. Le future quindici città metropolitane – in Francia se ne ipotizzano solo tre – offrono l’immagine plastica di una stagione di cambiamenti effimeri e contraddittori. Fra un po’ scopriremo di avere imboccato un sentiero senza uscita e magari daremo colpa alla burocrazia. Il problema, invece, è questa politica corrosa dalla mancanza di responsabilità e lungimiranza.