Expo e popoli della fame, un paradosso tutto milanese

1550229www.ilsussidiario.net – La Milano di Expo vive un paradosso. Si tratta di quello per cui ci siamo preparati e abbiamo atteso tanto una esposizione universale che mette a tema la lotta alla fame e allo spreco e allo stesso tempo veniamo colti di sorpresa da ondate di stranieri mossi dalla fame o dalla ricerca di una protezione umanitaria. Era già accaduto nel 2011 con la guerra scatenata da Francia e Gran Bretagna in Libia. In quell’occasione la Lombardia ha ospitato circa 3 mila immigrati provenienti da quel paese e sbarcati sulle nostre coste. Tuttavia solo 63 di questi sono stati dichiarati rifugiati aventi diritti d’asilo, dal momento che i restanti non provenivano evidentemente da zone interessate dal conflitto. Fonti del Viminale confermano il trend, dichiarando che nel 2014 su 63.041 richieste di protezione internazionale ricevute, 16.603, cioè il 26,34%, sono state quelle effettivamente esaminate dalle competenti Commissioni territoriali e che solo 7.553 (il 4,76% del totale) hanno avuto esito positivo. Ciò conferma che oltre ai profughi giungono nel nostro Paese anche migliaia di irregolari. Va detto, però, che per la quasi totalità non parliamo di persone che fuggono dalla propria terra con intenti criminali, ma – sebbene non scappino da guerre o persecuzioni – vivono una condizione ben descritta da Francesco nella sua Laudato si’: «i cambiamenti climatici danno origine a migrazioni di animali e vegetali che non sempre possono adattarsi, e questo a sua volta intacca le risorse produttive dei più poveri, i quali pure si vedono obbligati a migrare con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli.  È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa. Purtroppo c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie, che accadono tuttora in diverse parti del mondo. La mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile» (n. 25). Tuttavia la generale indifferenza verso il fenomeno non colpisce le organizzazioni criminali che costituiscono la principale filiera che tratta lo spostamento di flussi di migranti dal cuore dell’Africa a quello d’Europa. Le guerre e le rivolte che avvengono sull’altro lato del Mediterraneo sono sempre più spesso prese a pretesto da queste organizzazioni per lucrare sulla pelle di migliaia di disperati che rischiano la propria vita pur di tentare la traversata verso l’Europa e, nei loro intenti, una migliore esistenza. Da questo punto di vista non si è ancora svolto, e nemmeno è stato richiesto, un vertice comunitario che tenti di affrontare il problema. Eppure non mancano segnali preoccupanti che non fanno ben sperare; in Stazione Centrale a Milano è praticamente fissa la presenza di cosiddetti “passatori”, ovvero i “cugini” degli scafisti, coloro che per la modica cifra di 400/500 euro a persona sono disposti ad accompagnare in auto i migranti che vogliono oltrepassare le frontiere del Nord Italia. Così come allarma la sorte dei minori non accompagnati che finiscono nelle maglie della piccola criminalità o, addirittura, nel mercato della prostituzione, secondo le segnalazioni delle ong che si fanno carico della loro prima accoglienza una volta giunti nel capoluogo lombardo. Per questo motivo non è stata lungimirante la scelta di spostare il presidio che Comune e volontari avevano organizzato sul mezzanino della Stazione Centrale al nuovo hub di via Tonale. Se la decisione ha risposto a esigenze di natura estetica, di certo non assolve alla legge del buon senso, che non vuole siano “passatori” e criminali a intercettare per primi i migranti che scendono dai binari. Anche perché, e le immagini impietose che giungono dal confine di Ventimiglia lo confermano, coloro che transitano da Milano sono pronti a tutto pur di lasciare il nostro territorio nazionale.  Dal 18 ottobre 2013 al giugno 2015 – cito dati ufficiali del Comune – sono state assistite 63.200 persone transitate dalla Stazione di Piazza Duca d’Aosta. Per la maggior parte si tratta di 41.700 siriani e 16.300 eritrei. Della Siria si sa. Dell’Eritrea un po’ meno, ma è bene ricordare che l’8 giugno 2015 è stato depositato un rapporto di 448 pagine alla Commissione per i Diritti Umani dell’Onu sulle torture, stupri e violenze ad opera del regime di quella nazione e da cui migliaia di persone fuggono. In teoria tutti avrebbero diritto all’asilo politico, che è un nostro dovere costituzionale garantire a quanti provengono da paesi in cui vengono violati i diritti umani (v. art. 10). Sottolineo “in teoria” poiché, come ovvio, non c’è nulla di automatico e ogni richiesta deve passare al vaglio delle competenti commissioni territoriali delle prefetture, ma anche perché di tutte queste migliaia di transitanti solo 270 hanno fatto richiesta d’asilo in Italia. La maggior parte dei migranti vuole raggiungere l’Europa del Nord, dove c’è una politica d’accoglienza dei profughi molto più datata e strutturata e, proprio per questo, è possibile ricongiungersi a familiari residenti in quei paesi già da molti anni. Anche in questo caso sono i dati che offrono un’idea del fenomeno. Secondo quelli forniti dall’Onu su quasi 59,5 milioni di profughi o sfollati nel mondo, solo il 10% è accolto nel vecchio continente. Nel 2014 la Germania ha ricevuto circa 202 mila domande di protezione, contro le 63 mila dell’Italia. Cifre che, con tutta onestà, fanno impallidire nel confronto con gli Stati confinanti agli attuali teatri di guerra: la Giordania ha accolto nello stesso anno 654 mila tra siriani e iracheni; il Libano quasi 2 milioni; la Turchia 1,5 milioni. Proporzioni e confronti devono far riflettere, soprattutto quando si parla di “invasione”. Da questo punto di vista la vicenda di profughi e migranti è paradigmatica del nanismo che affligge la nostra classe dirigente, incapace di leggere il fenomeno nella sua complessità e secondo la totalità dei fattori in gioco. Nansimo che, occorre dirlo senza sconti, copre tutto l’arco costituzionale, da destra a sinistra. È giunto a scriverlo sul Corriere della sera del 25 luglio addirittura il Capo dipartimento immigrazione del Ministero dell’Interno, Mario Morcone, spiegando che il 10 luglio 2014 «la Conferenza Unificata, cioè il Tavolo in cui siedono le rappresentanze dello Stato, dei Comuni e delle Regioni, decise con un gesto intelligente e lungimirante l’accoglienza sui territori del Paese», secondo il criterio per cui ogni 10 mila persone accolte sarebbero state suddivise secondo «percentuali prefissate per singole Regioni» e che, in un secondo momento, i tavoli di ciascuna regione «composti dai Prefetti, dall’Assessore regionale, dai Sindaci, avrebbero assicurato la governance del territorio, distribuendo in maniera condivisa e, soprattutto, scegliendo liberamente le soluzioni più idonee ad attenuare l’impatto sociale dell’arrivo e dell’integrazione dei migranti».

Matteo Forte

 

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