Una proposta e una provocazione per ridare la domenica alle famiglie
Perché la domenica, invece di essere il giorno dedicato a ciò che abbiamo di più caro, è diventato il giorno dello shopping (nelle peggiori delle ipotesi) o il giorno in cui i genitori , invece di stare con i propri figli, sono costretti ad arrabattarsi tra famiglia e lavoro? Da qualche anno tenere gli esercizi commerciali aperti è diventato un ‘must’: ad avvalorare questa scelta vengono addotte diverse motivazioni tra cui ‘così aumentano gli incassi in un momento di crisi’, ‘così le persone che lavorano durante la settimana possono fare la spesa la domenica’ o ‘in questo garantiamo un servizio migliore’. Quindi tutta la settimana la passiamo tra lavoro, hobbies e impegni vari e l’unico (forse) giorno libero lo passiamo in fila ai supermercati per fare la spesa. Tempo residuo per godersi la propria famiglia: zero. Ma come facevano i nostri genitori o nonni senza la domenica con i negozi aperti? Ce la facevano a fare tutto ed alla grande. Ma non voglio usare questo paragone che potrebbe essere letto come retrogrado o peggio ancora ‘arcaico’, anche perchè (e questo è un dato oggettivo) le condizioni del lavoro oggi sono molto diverse di quelle di 30/40 anni fa. Ma poniamo il ragionamento su due livelli: il primo della qualità della vita e il secondo del livello di libertà del cittadino. Analizziamo il primo: la nostra vita oggi è qualitativamente migliore rispetto a quella delle generazioni che ci hanno preceduto (in termini di condizioni di lavoro)? No, tutt’altro. Ora passiamo al secondo: essendo il nostro un paese dove il cristianesimo risulta essere la fede praticata in prevalenza dai cittadini italiani considerare la domenica come giornata di lavoro regolare può essere letta come una riduzione dello spazio di libertà (religiosa e non solo) per una buona parte della nostra popolazione? Credo assolutamente di si. Occorre, per queste ragioni, un segnale forte e preciso: soprattutto da noi che siamo scesi in piazza il 20 giugno per sostenere le mamme ed i papà d’Italia. L’elemento di rottura non può essere altro che modificare la legge sul commercio nella direzione opposta di quella in cui si è lavorato in tutti questi anni: in poche parole #DomenicaNoWork. Un dato che i commercianti hanno rilevato è che aumentare le giornate di apertura non comporta un’automatica crescita del fatturato: al contrario si verifica un certo aumento di costi e una pressione sui lavoratori eccessivamente oberati di turni di lavoro. Nella frenetica competizione con i grandi centri commerciali i piccoli esercizi soccombono portando alla desertificazione dei centri storici delle nostre città. L’intenzione è quella di costruire un argine ai problemi creati dall’eccessiva liberalizzazione del commercio, rimettendo al centro la regolazione da parte degli enti locali (come prima del governo Monti). A tutela dei consumatori però risulta importante prevedere un sistema di turnazione delle aperture festive capace di garantire l’acquisto per ogni settore merceologico, prevedendo però un limite massimo di giorni festivi lavorativi per anno. Il Movimento 5 stelle, per mano del deputato Michele Dell’Orco, ha già presentato una proposta in parlamento che va in questa direzione. Occorre che anche noi scendiamo in strada, tra la gente, a condividere questa battaglia di buon senso e di civiltà per far sì che la domenica ritorni ad essere il vero ‘family day’ e non il giorno dello shopping. Non possiamo vivere di soli bisogni materiali: siamo fatti di carne sì, ma anche di spirito. Abbiamo necessità di concepirci come parte di una comunità: e non solo individualmente intesi, ma come facenti parte di una famiglia. Questa è una delle grandi sfide che la realtà ci pone oggi.
Mirko De Carli